Dove siamo dopo un anno
Firenze, 4 dicembre 2019 – Il Fuligno
“Un circuito eco-psico-sociale innovativo per una migliore qualità di vita nelle fragilità e nelle demenze.”
È passato un anno dal primo evento “Il Rinascimento parte dalla Toscana” ed è giunto il momento di fare il punto sul lavoro svolto e su quello ancora da svolgere.
Ovviamente il contesto non è cambiato in questi 12 mesi e la situazione sociale e demografica continua ad avere una evoluzione esplosiva, ma si è iniziato da parte di quasi tutti gli attori ad implementare quel necessario ripensamento dei percorsi socio sanitari ed assistenziali in essere per assicurare appropriatezza e sostenibilità degli interventi, ripensamento che si era avviato come progettualità negli anni precedenti e che ora è giunto a maturazione.
Come dicevo l’anno scorso la “società liquida” richiede risposte solide che riescano a dare tranquillità e alleggeriscano la solitudine di chi si prende cura di un proprio caro.
Nel precedente convegno, il 21 novembre 2018, si dava atto che la Regione Toscana ed altri attori operanti sul territorio avevano intrapreso la via di una sussidiarietà circolare che favorisse il dialogo tra Enti Pubblici, Privato Profit e Terzo Settore in tutte le sue componenti al fine di progettare e gestire insieme servizi innovativi, in relazione al territorio, in ambito socio sanitario e del welfare in genere.
In questo senso si parlava di Rinascimento, una ri-nascita che, attraverso una innovazione di rottura e quindi l’interazione tra i soggetti indicati al precedente capoverso, portasse alla creazione di nuovi modelli di assistenza che, poggiando sul buono che è stato fatto, riuscissero a dare risposte esaustive alle crescenti e sempre più complesse esigenze dei cittadini e degli operatori.
L’innovazione sociale è diventata una necessità per la nostra società, intendendo per innovazione sociale quella definita nel Libro bianco sull’innovazione sociale, scritto da Robin Murray, Julie Caulier Grice e Geoff Mulgan: “Definiamo innovazioni sociali le nuove idee (prodotti, servizi e modelli) che soddisfano dei bisogni sociali (in modo più efficace delle alternative esistenti) e che allo stesso tempo creano nuove relazioni e nuove collaborazioni. In altre parole, innovazioni che sono buone per la società e che accrescono le possibilità di azione per la società stessa.” : in quest’anno 2019 sono stati proclamati il 9 luglio i primi otto laureati del corso di laurea in Innovazione sociale, Comunicazione e nuove Tecnologie, inaugurato dall’Università di Torino nel 2016.
Quindi quest’anno il Centro Studi ORSA con questo evento, patrocinato e sostenuto dalla Regione Toscana anche con uno specifico contributo, vuol portare da un lato un rapidissimo flash sullo sviluppo delle attività di cui si è parlato lo scorso anno e dall’altro illustrare ulteriori esperienze nate nel corso del 2019 o che partiranno nei prossimi mesi, sempre volte a migliorare la qualità della vita di anziani, familiari ed operatori nella consapevolezza che lo star meglio di ognuno di questi tre attori contribuisce allo star meglio degli altri due.
Abbiamo voluto aggiungere un tema a quello specifico delle demenze, che è quello della solitudine, tema emergente od ormai emerso nella nostra società e che riguarda anche anziani sani e le famiglie di anziani malati.
La solitudine non è solo un fatto legato all’assenza di amici e familiari, ma anche all’assenza – ancora il larga parte della Toscana – di servizi che siano in grado di valorizzare le risorse residue dell’anziano malato o sano e lo facciano sentire ancora parte di una comunità, che si prende cura di lui e lo ritiene importante e “degno di vivere”: dove l’offerta dei servizi è, in questo senso, assente o carente, il “mal di vivere”, proprio della depressione esogena, ne è una logica e inevitabile conseguenza.
È una “patologia” la solitudine che può e deve essere affrontata con interventi specifici ma che deve essere considerata, valutata e alleviata anche in progetti che non le siano specificatamente rivolti: ogni progetto di assistenza dovrebbe prevedere al suo interno un percorso di valutazione di questo fattore che spesso porta ad effetti devastanti. Oltre a numerosi casi di omicidio o omicidio/suicidio le sofferenze generate dalla solitudine sono diffusissime ma spesso non considerate perché non generano particolari manifestazioni esterne.
Il modello a cui puntare deve portare ad una riabilitazione continua che attenui il malessere del singolo e di tutto il nucleo familiare intervenendo sin dai primi segnali: da un lato le persone devono sapere a chi possono rivolgersi non solo in stadi più o meno avanzati della malattia, ma quando insorgono i primi sintomi o presunti tali in modo da costruire una risposta precoce ed appropriata per ciascuno, anziano malato, anziano sano, caregiver.
Diventa quindi indispensabile attivare percorsi di comunicazione/informazione rivolti ai cittadini utilizzando tutti i canali oggi a disposizione sia per portare a conoscenza dei servizi in essere sia per abbattere il senso di vergogna che certe patologie ingenerano, che causa diagnosi tardive e che porta la famiglia a chiudersi verso il mondo esterno e le persone (amici, conoscenti, vicini di casa) ad allontanarsi dalla famiglia all’interno della quale si sono sviluppate determinate patologie.